I colori del vero
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Il crescente aumento di edizioni delle opere dei nostri scrittori del secondo Ottocento, non importa se noti o quasi dimenticati, è il segno evidente dell’operazione di scavo che la critica contemporanea ha perseguito nel territorio da cui è sorta la narrativa italiana moderna. E’ tuttavia mancata finora un’organica ricerca storico-culturale corrispondente alla rinnovata immagine che si comincia oggi ad avere dei protagonisti di allora. Questo volume vuole perciò rispondere all’esigenza di una interpretazione generale della lotta per il vero ingaggiata dagli scrittori italiani all’indomani dell’Unità e fino al deciso colpo di timone della Roma bizantina. Di quella lotta si cercano qui inizialmente le motivazioni e i caratteri originari nell’eredità lasciata alla Nuova Italia dalla cultura risorgimentale: il realismo del De Sanctis torinese-zurighese, l’impegno ad una indagine integrale della società, il divario già evidente tra scrittori “democratici” e scrittori che, come Rovani, prendono tranquillamente posto di fronte al colorito spettacolo del mondo. La prima a mettere a frutto quell’eredità è Firenze, con le teoremi dei critici d’arte, con la riduzione del positivismo a filosofia “positiva” da parte del Villari e con l’intensa attività teatrale vigilata dalla critica di Capuana, e soprattutto con la messa a punto in terra toscana degli strumenti realisti desanctisiani. Intanto , a Milano, si svolge la breve e sconvolgente avventura scapigliata, e per tutti, fiorentini e milanesi di nascita o d’adozione, il dramma della Comune parigina fa scattare una seconda fase, animata dall’ambizione di far rifluire nella Nuova Italia le speranze risorgimentali. L’arma di questo tentativo è il romanzo, a cui le due città conferiscono colori stilistici differenti; più espressionisti quelli di Milano, oggettivi invece quelli fiorentini, pur nel comune intento di una rappresentazione realistica di tutti i gradini della scala sociale. Nell’una e nell’altra città, infine, si stabilisce anche una koinè borghese, sostenuta da autorevoli riviste, quali la “Rivista minima” del farina o la “Rassegna settimanale” del gruppo villariano. A questo punto entra in gioco la rivelazione zoliana (specie attraverso l’Assommoir) sbandierata a sinistra da Camerini, a cui cerca di strappare l’esclusiva il più moderato Capuana, forte dei grandi saggi zoliani di De Sanctis. Da ultimo, il volume può così riprendere in esame l’unitaria carriera del verga nel suo muoversi tra Firenze e Milano, mostrando come appunto i capolavori verghiani nascano dalla sapiente utilizzazione tanto dei colori oggettivi quanto di quelli espressionisti, mentre i Vinti, pur appoggiandosi all’esempio di Zola, coronano il sogno risorgimentale di una indagine su tutta la scala sociale, ma al tempo stesso rovesciano nella desolazione la fiducia del reale, da cui gli scrittori di quel ventennio, primo fra tutti De Sanctis, si erano ripromessi la salute della nazione. I Vinti testimoniano così la crisi che cambia il volto della Nuova Italia. |
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