La scacchiera di Cecchi
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Il modello mitico di Firenze, della sua “prospettiva psicologica”, della sua astratta replicazione modulare che è insieme prigione e varco illusionistico su spazi vertiginosi, diventa un parametro costante per Cecchi, coglie la sua tensione quasi nevrotica verso l’ordine, la regolarità, lo spazio chiuso, ma riflette anche le sue insofferenze, le aperture alla fuga. La costrizione e i contrasti della città scacchiera diventano emblema di un lavoro intransigente ed esatto, percorso e vivificato dai richiami del magico e dell’esotico. La bipolarità, l’incastro di nero e bianco codificano il sistema oppositivo, cifrano una dialettica bloccata ma rinnovabile in infinite combinazioni. Un’opzione così coinvolgente non può essere ridotta alle abituali categorie critiche di rondismo o prosa d’arte; Cecchi, riletto, non si lascia accantonare come attardato calligrafo, per la sua consapevolezza, per la manifesta connivenza con il lettore, chiamato a gustare un gioco tanto geometrico, tanto intelligentemente programmato e ripetitorio, da sottintendere un rovesciamento, un appello alle obbiezioni e ai contrari.Gli studi di questo volume seguono, dai vari punti di vista delle poesie giovanili, dei taccuini e dei saggi e capricci, la fedeltà di Cecchi alle proprie sigle, e insieme il suo procedimento oscillatorio fra la vocazione al limite e gli scarti nella dimensione del diverso. Seguire questi legami, sottostare alle simmetrie per decifrare l’impulso all’invenzione, è un tentativo di entrare nel gioco di Cecchi,e provarne la validità, a distanza di generazioni, di storia, di consuetudini ideologiche. E sembra giusto che questo riscontro cada nel centenario della sua nascita. |
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