Pisa, solitudine di un impero
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Nessuna città italiana ha avuto da una personalità straniera - forse nemmeno Roma - il privilegio di una reinterpretazione della sua storia e della sua arte, così organica e poetica quanto Pisa, in questo libro. Borchardt vede nella sua storia di Pisa, fin dalle origini, lo svilupparsi di un tipo d'impero diverso da quelli continentali, un "impero di vele", opposto sia alla rissosa politica comunale e fiorentina, sia a Roma. Per un certo periodo i pisani parvero riuscire d imporre questa idea anche agli svevi di cui i mercanti, i diplomatici pisani furono, secondo Borchardt, più che mediatori, guide illuminate. Testimonianza di questa visione universale di Pisa, quasi anti-Firenze e anti-Roma, sono le opere d'arte, il suo Foro imperiale e cristiano. Lo stile pisano è "il grande stile", stile imperiale. Giovanni Pisano - che Borchardt sente quasi fratello al suo temperamento- è per lui il tragico e felice punto d'incontro e di scontro della passionalità gotica e della misura classica. Da Giovanni e non da Giotto, Dante ha derivato la sua drammaticità plastica. A pisa, già prima che con Dante, si era andato formando anche un primo volgare, imperiale e pratico con le cancellerie, e poetico con la Provenza. Ultimi documenti di questo sogno e stile imperiali, di questa "Causa victa", e di questa imperiale e dinamica solitudine dui Pisa entro l'Italia e entro l'impero, sono il Giudizio Universale del Camposanto e la scultura lignea pisana, che l'A. analizza minutamente. I dettagli, la velatura storica del libro possono essere discutibili o superati: ma questa velatura è investiva da un tale soffio di fantasia e vicoria, da un affetto così insistente e prepotente, che il libro potrà sorprendere anche i più attenti conoscitori della storia dell'arte pisana. |
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